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lunedì 5 settembre 2011

Pensiero, materia, tempo e natura

In difesa della concezione monista

di Michele Fabiani


Innanzi tutto, un piccolo accenno ironico. Sono davvero onorato che, non essendo stato presente all'ultima parte della discussione di domenica, nel dibattito online attraverso la malling list vi siete scontrati "litigandomi" e chiedendovi "da che parte sarei stato". Questo mi fa sinceramente piacere.

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venerdì 19 agosto 2011

Una risposta alle critiche di E. Bilancini e G. Zuccarini alla teoria del valore-lavoro


LA TEORIA NEORICARDIANA 
DEI PREZZI: 
MAGICO RISULTATO O VUOTA TAUTOLOGIA?

di Pasquinelli Mauro


premessa
Le tesi sviluppate  Bilancini e Zuccarini (B. Z.) nel loro documento sul Perché la teoria del valore di Marx non funziona rappresentano una pedissequa riproposizione della teoria neoricardiana  degli sraffiani  Pierangelo Garegnani e Claudio Napoleoni (1) i quali, sulla base del testo ben noto del loro maestro “produzione di merci a mezzo di merci” (che non voleva essere affatto una critica a Marx ma semmai ai marginalisti, Marx nel testo è citato solo una volta) deducono un modello che smentirebbe Marx e conferma invece le critiche avanzate, già alla fine dell'Ottocento, da  Bohm Bawerk, Achille Loria, Samuelson e Bortkiewicz. Qual'era la sostanza di queste critiche?

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lunedì 8 agosto 2011

STORIA E SCIENZA IN MARX


Una critica alla critica
In difesa della teoria marxiana del valore

(seconda parte)

clicca qui per leggere la prima parte

di Moreno Pasquinelli

Premessa

Presentiamo ai lettori la seconda parte della risposta allo scritto di Ennio Bilancini e Giacomo Zuccarini (Perché la teoria marxista non funziona). Data la sua lunghezza l’autore ha preferito dividerla in tre parti. La prossima entrerà direttamente nel merito della disputa, ovvero se la spiegazione marxiana della trasformazione dei valori delle merci in prezzi (e quindi del saggio medio di profitto), sia valida o se vada rigettata assieme alla più generale teoria del valore. L’autore ritiene effettivamente che la soluzione marxiana abbia sostanziali criticità, logiche e fattuali, dalle quali, tuttavia, non se ne dovrebbe dedurre, né concettualmente né empiricamente, che la teoria del valore sia da invalidare. Semmai il problema sta in come Marx volle ricavare la sua legge del valore dalla teoria generale. Di qui questa seconda parte, che segue la prima, e segnala le aporie del discorso marxiano sulla storia, sulla scienza e sulle procedure scientifiche, la cui importanza sta nel fatto che da esse derivano le incongruenze del modello teorico marxiano.

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lunedì 18 luglio 2011

Spoleto: Tavola rotonda promossa da Scuola Umbra

Religione o Rivoluzione?
Il difficile rapporto tra militanza e fede


Scuola Umbra organizza una tavola rotonda con Giorgio Rosati (Scuola Umbra),  Alessandro Chiometi  (Civiltà Laica), Don Ganfranco Formenton. Coordina Michele Fabiani (Scuola Umbra)




Il Dibattito avrà luogo Venerdì 22 luglio, ore 18:30. Nell'ambito della XXI. Festa operaia e libertaria promossa da Casa Rossa, in Via delle Murelle.

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giovedì 7 luglio 2011

Una critica alla critica

In difesa della teoria marxiana del valore
In risposta all'intervento di Ennio Bilancini e Giacomo Zuccarini

(prima parte)



di Moreno Pasquinelli


Premessa

Ho studiato, con l’attenzione che merita, l’intervento di Ennio Bilancini e Giacomo Zuccarini sulla legge del valore dal titolo "Perche' la teoria di Marx non funziona" pubblicato il 14 giugno come risultato del seminario interno di Scuola Umbra.

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lunedì 27 giugno 2011

QUESTIONI DI LOGICA


In risposta a Michele Fabiani

di G. Rosati

1. Essenza e Sostanza
2. Divisione del sapere
3. Homo Faber

Premessa
Rispetto alle cose, la Grammatica sta ai loro nomi come la Matematica sta ai loro numeri, e  come la Logica sta ai loro concetti.
Che poi siano nomi, numeri o concetti delle cose, ciascuno dei relativi saperi e discorsi su di essi hanno ugualmente in comune due cose: la classificazione dei tipi di nomi-numeri-concetti esistenti, nonché l'enunciazione delle loro regole d'uso corretto. Quindi, che si parli di fatti quotidiani, di scienze naturali o di storia e filosofia umana, sarebbe sempre bene sapere come si dice ciascuna cosa che si dice.

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RESOCONTO DEL SEMINARIO INTERNO SUL MATERIALISMO

Domenica 20 giugno l'abbiamo passata nelle campagne di Trevi, qui in Umbria a discutere del concetto di materialismo. Una lunga giornata di studi e appassionate riflessioni, cominciata la mattina alle 10,30 e finita non prima delle 19. 

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venerdì 24 giugno 2011

DALL’ ORIGINE DELLA DISUGUAGLIANZA DI ROUSSEAU ALL’ANARCO-PRIMITIVISMO DI ZERZAN

J..J. Rousseau
NATURA E STORIA

di Michele Fabiani 



La natura come entità statica e il mistero della sua negazione

La forza di un mito come quello del cosiddetto peccato originale, con le sue traslitterazioni in epoche e luoghi diversi, indica quanto sia altrettanto forte il problema che con la sua narrazione prova a risolvere: come si spiega l’emergenza della storia come negazione di un essere quasi parmenideo, statico, perfetto, autosufficiente, come solitamente viene inteso il concetto di natura?
La risposta biblica è drammatica: un errore, un peccato, una impertinente volontà di conoscere hanno causato il tragico evento che dalla felicità naturale ha prodotto le peripezie dell’umanità nel corso della storia.

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lunedì 20 giugno 2011

Un'introduzione alla critica della teoria del valore-lavoro di Marx

Valore-lavoro, prezzi e saggio del profitto: Perchè la teoria di Marx non funziona
Una presentazione (per quanto possibile) non matematica dei problemi della teoria con alcune riflessioni critiche

di Ennio Bilancini e Giacomo Zuccarini

Stimolati dalla discussione svoltasi in seno alla Scuola Umbra, e poco soddisfatti della ricostruzione del dibattito pubblicata su questo blog, abbiamo deciso di produrre una disamina dei conclamati problemi della teoria del valore-lavoro di Marx. Le argomentazioni che sarebbe necessario portare per un'analisi generale delle difficoltà che incontra la teoria sono purtroppo dense di aspetti logici ed economici affatto banali. Proprio per questo abbiamo puntato ad un obiettivo più modesto, limitandoci al minimo uso della matematica, e accettando così di perdere qualcosa nella generalità dell'argomento. Ciò nella speranza di rendere la discussione accessibile ad un pubblico il più vasto possibile, e magari sviluppare un serio dibattito in merito.


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domenica 29 maggio 2011

SULLA TEORIA MARXISTA DEL VALORE


Resoconto del seminario teorico svoltosi a Spoleto domenica 22 maggio

di Mauro Pasquinelli



Domenica scorsa si é svolto come previsto il seminario sulla «teoria del del valore» con la relazione introduttiva di Moreno e la controrelazione di Ennio Bilancini.
Moreno è entrato subito nel merito della questione ponendosi dal punto di vista privilegiato del pensatore di Treviri. Non dalla popolazione, non dal PIL non dai massimi aggregati del sistema si parte per arrivare a capire l'essenza del sistema ma dalla sua cellula elementare: la merce. Il sistema capitalistico é il primo modo di produzione della storia che trasforma ogni prodotto del lavoro in merce. Dalla terra alle materie prime dalla forza lavoro al sapere tutto é mercificato, tutto ha una funzione e uno scopo se ha una vendibilità sul mercato.

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martedì 17 maggio 2011

(1) DIBATTITO SULLA NOSTRA BOZZA DI MANIFESTO

Princìpi di Materialismo 

di Giorgio Rosati 

Il 20 aprile scorso abbiamo pubblicato la bozza di manifesto di SCUOLA UMBRA, «La rivoluzione naturale. 19 ipotesi» proposto da Michele Fabiani. Il nostro collettivo ha iniziato a discuterle. Presentiamo di seguito il primo contributo critico.


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sabato 30 aprile 2011

L'ORIENTE ERA ROSSO

Un momento dell'incontro
Resoconto dell'incontro con Losurdo e Pasquinelli a Perugia
«CINA: DIVERGENZE IN SENO AL POPOLO»

Un dibattito davvero acceso e partecipato quello di ieri pomeriggio alla Feltrinelli di Perugia per la serie di incontri filosofici della Scuola Umbra. Abbiamo assistito allo "scontro" di visioni sul ruolo della Cina nello schacchiere politico mondiale e sulla natura dell'economia cinese.

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mercoledì 20 aprile 2011

LA RIVOLUZIONE NATURALE

DICIANNOVE IPOTESI 

UNA PROPOSTA DI MANIFESTO PROGRAMMATICO PER LA SCUOLA UMBRA 

di Michele Fabiani

Questo Manifesto è una proposta. Nasce dall'esigenza, da tutti noi avvertita, di dotarci di una carta d'identità, o forse di navigazione; di indicare, seppure per sommi capi, ma in maniera rigorosa, la nostra "concezione del mondo".  Chi avrà modo di leggerlo capirà che esso è un documento impegnativo. Ed infatti ha subito suscitato, tra noi, una vivace e ricca discussione. Abbiamo iniziato discutendo collettivamente i primi capitoli e, come c'era da aspettarsi, sono emersi differenti punti di vista, anzitutto in ordine a concetti come
Natura, Storia, Realtà, Conoscenza, Verità, Materialismo, Idealismo, Evoluzionismo. Iniziamo dunque le danze, nella certezza che questo dibattito, il confronto di idee, non potrà che spingerci in avanti.

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martedì 12 aprile 2011

4° Seminario pubblico di Scuola Umbra

Dopo il crollo dell'URSS si è fatto un gran parlare dei nuovi equilibri mondiali. L'unilateralismo americano ha già lasciato il posto ad un "ordine multipolare"? E se questo è vero, i conflitti geopolitici, diminuiranno o aumenteranno? Che posto spetta alla evanescente Unione europea in questo quadro in cui il baricentro del capitalismo mondiale si sposta da Ovest a Est? Quale sarà il ruolo della Cina? Da principale salvagente degli USA, qual'è oggi, diverrà il suo principale antagonista? E quale carattere avrà quest'antagonismo? Davvero queste due forze sono destinate a scontrarsi frontalmente? E' plausibile definire ancora "socialista" il modello di sviluppo cinese? Quali ripercussioni avrà, sulle lotte di emancipazione dei popoli, lo smottamento dell'egemonia Occidentale? L'obbiettivo della fuoriuscita dal capitalismo, si avvicina o si allontana? 
Questi gli interrogativi che costituiranno il filo conduttore dell'incontro di Perugia, che si svolgerà presso la Libreria Feltrinelli (Corso Vannucci 78/82) a partire dalle ore 17:00 del 28 aprile.

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martedì 29 marzo 2011

CAMMINANDO E STUDIANDO

Perugia: il prossimo incontro con Domenico Losurdo

Nel mese di Marzo non si è potuta tenere la consueta conferenza pubblica, in questo caso prevista sul tema "Contro il mito del progresso", causa indisponibilità del relatore che avevamo immaginato, il noto teorico della decrescita felice Pallante. Stiamo lavorando per recuperare questo mancato incontro, dato l'interesse che aveva suscitato.

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martedì 15 marzo 2011

La dialettica in Hegel e Marx

Domenica 13 marzo si è tenuta la seconda auto-lezione a porte chiuse sulla storia della dialettica. La settimana precedente si era tenuto un dibattito sulla dialettica in Platone. 

Questo nostro secondo (e per il momento) ultimo incontro "esoterico" ha trattato invece il tema della dialettica in Hegel e in Marx. 

La discussione è stata molto complessa, profonda e articolata e sarà difficile darne una sintesi adeguata.

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lunedì 7 marzo 2011

La dialettica in Platone

Domenica 6 Marzo si è tenuta la lezione-riunione "a porte chiuse" sulla «Dialettica platonica e il metodo ipotetico». 
Le nostre "riunioni domenicali" sono generalmente divise in due sezioni: l'organizzazione tecnica delle conferenze e la riflessione filosofica spassionata. In questo caso abbiamo deciso di dedicare un pomeriggio appositamente ad un tema che ha già infiammato un piccolo-grande dibbattito per via telematica fra i nostri "scolari umbri".

Si sono confrontate le opinioni di chi, da un lato, sosteneva di individuare forti analogie fra la dialettica platonica e il metodo ipotetico, dall'altro, di chi al contrario sottolineava che l'idealismo platonico è quanto più lontano ci possa essere dal metodo scientifico.

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mercoledì 2 marzo 2011

Seminario di Foligno

Teano: Garibaldi s'inchina al Re sabaudo
Sintesi della Presentazione svolta da Maurizio Fratta a nome di Scuola Umbra

Nessun riferimento al tricolore nazionale e l'immagine di un' Italia che, una volta asciugatasi la macchia di caffè dalla quale sembra emergere nel candore della tovaglia, rimanga per sempre sporcata fino
alla sua dissoluzione.
Non vedo altra lettura possibile dell'immagine, proiettata sullo schermo alle mie spalle, che abbiamo voluto proporre per annunciarequesto secondo incontro di Scuola Umbra qui oggi a Foligno.

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Risorgimento e Italia come Stato-nazione: due visioni opposte

La strage di Bronte
Breve cronaca del seminario di Foligno



Si è tenuto come previsto, sabato 26 febbraio, il secondo incontro del ciclo di seminari promosso dalla Scuola Umbra, circolo di studi politici, filosofici e culturali. Si tratta della nostra terza uscita complessiva, se si tiene conto della conferenza straordinaria a un mese dal 14 dicembre a Perugia. Il precedente incontro sul tema della giustizia si era tenuto lo scorso mese a Spoleto.

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lunedì 21 febbraio 2011


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martedì 15 febbraio 2011

Foligno, 26 febbraio - Secondo Seminario itinerante



LEGHISMO, FEDERALISMO E STATO NAZIONE 


IL FUTURO DELL’ITALIA TRA SPINTE CENTRIFUGHE ED EUROPEISMO A 15O ANNI DALL’UNITÀ


Presiede: Maurizio Fratta
Intervengono:
Fabio Bettoni, Docente di Storia economica presso l’Università di Perugia

Mario di Mauro, Portavoce di Terra e Liberazione, Sicilia

La Lega Nord aveva dichiarato che ove la cosiddetta “riforma federalista” non fosse stata promulgata

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giovedì 3 febbraio 2011

Sul concetto di «terrorismo»

Pubblichiamo l'intervento svolto da Maurizio Fratta in occasione del primo Seminario della Scuola Umbra svoltosi sabato 22 Gennaio sul tema «Quale giustizia? Ruolo della magistratura nella crisi italiana».



di MAURIZIO FRATTA

«Poco prima di giungere a Spoleto per l’incontro di oggi, ho appreso da una fonte di informazione locale, che il Ministro degli Interni Roberto Maroni aveva disposto l’allontanamento immediato dall’Italia dei due islamici condannati in Umbria per attività terroristiche.

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venerdì 28 gennaio 2011

Il nostro primo passo



LA «GIUSTIZIA» NON È MAI 
AL DI SOPRA DELLE PARTI
e la legge non è mai uguale per tutti

di Michele Fabiani

Ha finalmente preso il via l'atteso ciclo di conferenze della Scuola Umbra, il circolo di studi politici, filosofici e culturali nato dall'esigenza di fermarsi a riflettere sui temi dell'attualità politica, ma da un punto di vista più teorico di quanto normalmente avviene nella militanza quotidiana.

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«Quale giustizia? Ruolo della magistratura nella crisi italiana»

la Relazione di Michele Fabiani al Primo seminario itinerante
Spoleto, 22 gennaio 2011



Definizione: cosa è il “giustizialismo”?

Da qualche tempo in Italia si è verificato uno strano fenomeno, il cosiddetto “giustizialismo”, da cui discende un fenomeno ancora più strano, il cosiddetto “giustizialismo di sinistra”. Su questo tema, sempre a Spoleto, nello scorso mese di agosto, durante la “Festa operaia e libertaria”, ho avuto il piacere di intervenire ad una conferenza dal titolo emblematico: “Perché i giustizialisti di sinistra urlano per un avviso di garanzia ad un membro del governo e non dicono nulla, né chiedono le dimissioni, quando il generale dei ROS Ganzer viene condannato a 14 anni di reclusione per spaccio di stupefacenti?”. 

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Primo seminario «QUALE GIUSTIZIA?»

Introduzione del presidente Moreno esposto 

Spoleto, 22 gennaio 2011

Benvenuti e grazie della vostra partecipazione quest’oggi al 1° seminario della Scuola Umbra dal titolo «Quale Giustizia? Ruolo della magistratura nella crisi italiana». 

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mercoledì 19 gennaio 2011

Al via il ciclo di seminari itineranti (gennaio-giugno 2011)

Il primo dei seminari promosso da «Scuola Umbra»

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lunedì 17 gennaio 2011

Chi siamo

Perché abbiamo costituito «scuola umbra»




Non cambia il mondo.
Nuove ingiustizie e vecchie e nuove forme di sfruttamento e di sopraffazioni accompagnano le sue rotazioni.e quel mondo migliore, che in tanti vorremmo,ci appare sempre lontano.
Da che parte stare lo sappiamo.
Con gli sfruttati.dalla parte dei popoli oppressi,per raccogliere il grido che sale dalla terra ferita.
Eppure a volte e' mancato un linguaggio adeguato,non siamo riusciti a forzare il mondo dentro alle nostre consolidate categorie.
Siamo profondamente convinti che serva un progetto teorico nuovo,che servano nuove idee,che vada scritta una nuova filosofia della politica e della società che non rinneghi quelle del passato,ma che non si limiti al dogmatico "ipse dixit",alla citazione ossequiosa dei maestri.
Teoria e pratica dunque.
Qui in Umbria.
E' nella nostra verde Umbria che vogliamo parlare di ambiente,dei danni che il modo di produzione-escrezione capitalistico cagiona,del mito del progresso che ha sedotto la sinistra ed avvince tanta parte del movimento operaio.
E' nella nostra rossa Umbria che vogliamo riflettere sulla crisi economica,sulle nuove forme di sfruttamento,su quella che si chiamava "composizione di classe",sui nuovi modi di lavoro precario,subordinato,para-subordinato,in nero o neo-schiavistico.
E' nelle comunità di tutta l'Umbria,dal nostro particolare,che vogliamo dire la nostra sui grandi fenomeni che attraversano e scuotono il mondo globalizzato,sulla Cina e sul declino dell'Occidente;vogliamo chiederci se la crisi del capitalismo e' reale o se si tratta soltanto di un passaggio di consegne dagli Usa all' Asia,se si tratta di una crisi economica o di una crisi di civiltà.
Itinerante, antidogmatica, universale.
Scuola Umbra.
Un movimento filosofico, politico, culturale, al quale aderiscono persone che provengono da storie personali molto differenti:ambientalisti, comunisti, anarchici, studenti di filosofia e di economia, attivisti del volontariato, antimperialisti.
Uniti dalla comune esigenza di dire cose attuali e profonde,perché crediamo che il mondo possa radicalmente cambiare,
perché pensiamo che solo una rivoluzione possa spazzare via lo schifo che ci circonda.
Proponiamo un ciclo di incontri itinerante da tenere mensilmente.
Invitiamo chiunque sia interessato,voglia ospitare incontri o proporre altri temi a prendere contatti con noi.

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domenica 16 gennaio 2011

La rabbia del 14 dicembre


Intervento di Sara Ardizzone all'incontro di Perugia del 14 gennaio a Perugia

L’importanza della giornata del 14 dicembre si vede già dai suoi inizi,dalla decisione razionale di alcuni o forse più emotiva di altri di voler prendere una posizione autonoma,autonoma finalmente da qualcosa,un qualcosa che si incarna in tutte le varie bandiere emblema,simbolo di partiti:partiti che non solo non li rappresentano ma nei quali riconoscono solamente un opposizione formale,una demagogia intrinseca che al di là delle apparenze ragiona in modo sostanzialmente uguale a quell’entità contro cui quelle migliaia si ritrovano,ora,in piazza. La manifestazione si struttura infatti in due concentramenti uno che parte dall’università La Sapienza e l’altra che ha il suo punto di riferimento in piazza della Repubblica la cui chiamata è stata fatta dai partiti stessi sia all’opposizione che non, a cui alcune organizzazioni universitarie sono legate come Self, Uds e la Link. Non mi  interessa,in questo momento fare una distinzione di quantità di manifestanti,di chi ha “vinto” su piano numerico (anche perché probabilmente  queste due hanno in un punto confluito), ma rendere l’idea che alla base di ogni distribuzione geografica dei concentramenti corrispondeva (e corrisponde ogni volta) un determinato tipo di linea politica. Tutto ciò che ha una natura finita e delineata è per sua costituzione facilmente controllabile nonché facilmente estinguibile una volta  esauritine i  presupposti. Diverso è  quando queste stesse convinzioni tramutate nella prassi in protesta superano quello che è un mero vertenzialismo e superano quindi anche sé stesse,   riconducendosi automaticamente ad un determinato contesto socio-economico necessario per non  rischiare di rimanere astratte , rinchiuse in una bolla di sapone sovra il reale:un contesto riassumibile nella parola sistema. Solo in questo modo la lotta si fa non solo più radicale ma più difficile da placare. Ed è stato forse questo passaggio a segnare l’importanza di questa manifestazione ed anche a far comprendere le larghe misure repressive che ne sono conseguite. 

Chiaro che il malcontento generale è stato scatenato da un mal-governo ma la rabbia che trapelava da slogan, striscioni, parole della gente aveva radice più profonda. Ragazzini che urlavano contro le banche artefici della distruzione delle loro famiglie ne è una riprova come ne è un’altra il dato che le immagini fotografate riguardanti l’assalto al primo blindato sono di gran lunga precedenti alla pubblicazione della decisione sulla fiducia. L’ansia, da parte sia dei giornali che dei partiti  d’identificare in un volto politico la causa che ha dato adito alle vicende del 14 , è volta a restringe di fronte alla pubblica opinione l’ampiezza e la potenza che ha rappresentato questa giornata che ha fatto paura a molti i quali,con abile mossa psicologica,hanno equiparato tali fatti a quelli che segnarono un anno ricordato con angoscia come il 1976 volendo ingabbiare la storia in un eterno auroboros senza soluzioni di continuità.

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Il significato del 14 dicembre?

LEZIONI ROMANE E LEZIONI EUROPEE

Intervento di Michele Fabiani in occasione dell'incontro svoltosi a Perugia il 14 gennaio 2011

“Uno spettro si aggira per l’Europa. Atene, Parigi, Londra, Roma: Rivolte!” 

L’opera demistificatoria del 14 dicembre.

Eraclito diceva:

 “L’uomo stupido ama stupirsi di ogni discorso”.

Questa frase mi fa venire in mente Mentana, che su La7 sbavava dietro i discorsi di Fini come fosse arrivato il redentore. Questa frase mi fa venire in mente Giannini, che su Repubblica dopo il discorso di Bastia Umbra dell’ex fascista che presiede la Camera scrisse “E’ arrivato il 25 aprile”. Tra l’altro confondendo la storia, dato che semmai quello di Fini è stato un “25 luglio”, la data in cui un complotto fra i gerarchi destituisce il dittatore. La stessa Repubblica avrebbe fatto un servizio migliore alla sua parte politica scrivendo che quello di Fini fosse stato appunto un “25 luglio” e auspicando davvero un “25 aprile” democratico…ma che ci vuoi fare? L’uomo stupido ama stupirsi di ogni discorso, è proprio vero.

Nel giro di pochi giorni questo teatrino è andato in frantumi, la crisi di palazzo di Fini ha fatto cilecca mentre una rivolta popolare ha insegnato che la via per liberarci dal cavalierato (questo strano regime) è la via della lotta sociale.

La sommossa del 14 dicembre ha avuto il fausto risultato di aver fatto saltare la duplice speculare dialettica contrapposizione tra due opposte mistificazioni, che da un paio di anni si sono diffuse nella cultura politica italiana, alimentandosi l’una dell’altra:

    * Il governo Berlusconi è un governo amato dal Popolo, contro di lui c’è un complotto della sinistra giustizialista invidiosa per i suoi successi politici e personali.
    * Il governo Berlusconi è un governo di corrotti, nani e ballerine; i magistrati sono i Salvatori della Patria, gli unici che hanno il coraggio e la forza per resistergli – che Dio benedica le manette!



Da sottolineare come nessuno dei poli di questa duplice mistificazione dica una parola sui problemi del cosiddetto “popolo”, sulla crisi economica, su chi ne è la causa, su come uscirne.

La sommossa del 14 dicembre si inserisce in questa contraddizione, la fa esplodere, ne denuncia il carattere mistificatorio, la supera, se la lascia alle spalle. Quello che è avvenuto a Roma il 14 dicembre è un fatto empirico, storico, che di fatto ci porta già oltre questa mistificazione: il 14 dicembre decine di migliaia di persone hanno fatto vedere a Berlusconi che non è affatto amato il suo governo, che c’è una generazione affamata e infuriata che lo detesta con tutta se stessa; ma, nello stesso istante, che non è la pratica dei tribunali, delle leggi, degli scandali, quella che davvero può rompere gli equilibri politici esistenti, collocandosi nei fatti, nelle azioni, negli slogan radicalmente oltre le paranoie legalitarie di Di Pietro e il moderatismo del PD. La duplice mistificazione è di fatto superata, siamo già oltre, siamo di fronte ad un popolo che non rispetta le leggi di Di Pietro e che non crede più alle promesse di Berlusconi.

Un movimento incompreso.

Il carattere così avanzato, questo sì “futurista”, del 14 dicembre ha avuto come conseguenza diretta la sua generale incomprensibilità.

Ovviamente non poteva essere compreso dal governo, non poteva essere compreso dal padronato, non poteva essere compreso da chi sogna di privatizzare le università, di espellere i sindacati dalla fabbriche, di manipolare le menti con il Grande Fratello. Dal governo non ci si poteva aspettare altro: era ovvio che per il padrone della Mediaset o sei uno spettatore o non sei. Tutto il resto è solo una questione di ordine pubblico, di “interferenze”.

Questo fatto del tutto ovvio porta a delle conseguenze che, viceversa, sono imprevedibili: Cosa accadrà quando le proteste non potranno più essere nascoste dalle TV? Cosa è accaduto, ad esempio proprio il 14 dicembre, nella mente di tanti telespettatori? Cerchiamo di immaginarci nei panni di uno che si informa solo con il TG4. Fino a quando le uniche notizie della mia vita sono le notizie manipolate di Fede è evidente che anche la mia stessa mente saprà essere, con altrettanta facilità, manipolabile. Nel momento che finisco in cassa integrazione, nel momento che vedo la benzina a 1,50 € al litro, nel momento che scoppia una sommossa come quella del 14 dicembre, è evidente che devo invece, per quanto ormai malato e drogato dai media berlusconiani, pormi il problema della differenza fra quanto mi racconta Emilio Fede al telegiornale e quanto davvero avviene intorno a me. A mio avviso la stessa sinistra che da anni piange di fronte al conflitto di interessi di Berlusconi di fatto, con i suoi stessi lamenti, riconosce che vi è stata la trasformazione del suo soggetto sociale di riferimento dalla vecchia classe operaia al telespettatore della TV: se uno prende ogni giorno le frustate a sangue dal padrone non c’è manipolazione mediatica che regga, la schiena continua a fargli male. Ora che la crisi si fa sentire, non basta il monopolio dell’informazione. Anzi proprio quel monopolio rappresenta un problema teorico pesante per il semplice fatto che si è talmente manipolata la realtà in questi anni, che ora che tale realtà è in subbuglio mancano gli strumenti per comprenderla e controllarla.

D’altro canto, il movimento sociale che ha portato al 14 dicembre è stato incompreso anche da coloro che si ritengono all’opposizione del cavalierato. Cosa ha da dire Di Pietro a questo movimento? Cosa ha da dirgli Grillo? Cosa ha da dirgli Travaglio? Cosa hanno da dirgli coloro che hanno come motto “fuori i pregiudicati dalla politica”? Un motto che mette sullo stesso piano gli studenti fermati in piazza il 14 con i mafiosi e i corrotti in parlamento: entrambi secondo il tormentone giustizialista commettono reati, entrambi sono da condannare. E’ evidente che non ci si poteva aspettare comprensione neanche da questa parte della politica istituzionale. Anzi, dalla cosiddetta opposizione sono arrivate analisi paradossalmente ancora più errate che dal governo: il ministro La Russa sicuramente si avvicina più alla realtà dicendo che gli studenti sono tutti delinquenti di quanto non faccia il PD che parla di pochi violenti che hanno rovinato una protesta pacifica: il 14 c’è stata una sommossa di massa, dalle vecchiette con gli ombrelli al “coro di voci bianche” delle quindicenni che cantavano “ladri-ladri” e altri cori contro le banche mentre i più grandi le danneggiavano, non c’erano pochi infiltrati, ma centomila rivoltosi.

Il meccanismo psico-politico è alla fine è simile a quello di chi si informa solo sul TG4: chi legge solo Il Fatto Quotidiano ha una rappresentazione della realtà in cui i giudici sono gli eroi e la legge è la sola discriminante fra il giusto e l’ingiusto. Allo stesso modo chi, come Saviano, ama i magistrati e le forze dell’ordine per la loro lotta contro la mafia, non può capire una generazione che si ribella contro di loro. Per questo devono rappresentare (prima di tutto a se stessi, ma ovviamente poi anche al pubblico che anche loro devono manipolare) una piazza del tutto inventata che somiglia più alle piazze dei girotondi e del “popolo viola” che alle piazze della Grecia, rovinata da pochi infiltrati. Uno dei temi ricorrenti nelle migliaia di lettere di critiche che Saviano stesso ha ammesso di aver ricevuto, sta nel lamentare che nel suo intervento vergognoso non una sola parola di condanna è stata espressa nei confronti della polizia; un tema che si ripete soprattutto nelle lettere più moderate, quelle di chi dice che la violenza è sbagliata ma da entrambi le parti, mentre Saviano non osa nemmeno ipotizzare la polizia possa sbagliare. E’ così viscida questa manipolazione che ha bisogno di inventarsi degli infiltrati inesistenti, tappezzando siti internet e pagine di giornali delle foto di questi infiltrati, facendo invece scoprire dei ragazzini da sbattere al carcere minorile.

Paradossalmente questa incomprensione riguarda anche aree radicali come ad esempio quelle del sindacalismo di base. Ovviamente si tratta di una incomprensione radicalmente opposta a quella che si verifica nell’arco parlamentare. I sindacati di base ovviamente non criticano questo movimento, però non hanno saputo dialogarci, non hanno capito le sue scadenze, non hanno percepito e razionalizzato il fatto che qualcosa covasse sotto la cenere. Perché i COBAS e gli altri sindacati di base non hanno aderito alla manifestazione del 14 dicembre? La risposta che si riceve quando si pone questa domanda è semplice: perché c’era la FIOM, il sindacato dei metalmeccanici della CGIL, e se c’è la CGIL non ci siamo noi.

Eppure in passato gli stessi sindacati di base hanno aderito a manifestazioni con forze molto più moderate. Ad esempio nel 2001 erano al G8 di Genova, con un corteo proprio certamente, ma c’erano. E in quei giorni in piazza non c’era solo la FIOM ma l’intera CGIL, c’erano i DS e altre forze ben peggiori della FIOM. Come mai allora c’erano i sindacati di base e oggi no? La risposta politica, al di là dei tecnicismi, è semplice: i dirigenti dei sindacati di base avevano capito che c’era un movimento forte e determinato che contestava la globalizzazione capitalistica, ne erano parte attiva, e sapevano che il momento di massima contestazione si sarebbe raggiunto proprio a Genova; oggi dobbiamo temere che non sia più così. Eppure il movimento di oggi io lo considero superiore a quello 10 anni fa. In primo luogo da un punto di vista soggettivo, 10 anni fa c’è la crescita economica e la globalizzazione, ci si limitava solo ad auspicare che non avvenisse ai danni del Sud del Mondo, oggi c’è una crisi che ci affama in prima persona.

Un sommovimento internazionale.

Malgrado l’incomprensione che questo movimento ha avuto, esso non è un fatto isolato avvenuto in un giorno isolato in un posto isolato. Dal punto di vista degli studenti, questo movimento è nato 2 anni fa, nell’autunno del 2008, con il cosiddetto movimento dell’Onda. Negli ultimi 4 mesi ha visto manifestazioni più che settimanali con una discreta presenza sin dai primi di ottobre, l’ultima grande manifestazione prima del 14 dicembre c’è stata il 30 novembre e a mio avviso già da lì si capiva che stava avvenendo qualcosa di importante: quando ho visto 50 mila persone che tenendosi a braccetto e facendo i cordoni indietreggiavano tutti uniti resistendo passivamente e senza violenza alle cariche, la prima cosa che mi sono chiesto è stata: cosa succederà se con la stessa unanimità con cui oggi 50 mila persone fanno “cordone” passivamente domani decidessero di avere atteggiamenti più duri? E infatti dopo due settimane c’è stato il 14 dicembre. Dal punto di vista degli operai, la riscossa è un po’ più recente. E’ un percorso che comincia questa estate dopo l’accordo di Pomigliano e la giusta rabbia di molti contro condizioni di lavoro disumane, che vietano lo sciopero, aumentano i ritmi in catena di montaggio, tagliano le pause e le mettono a fine turno, non pagano la malattia. Per fare un esempio, la legislazione inglese che a metà Ottocento ha introdotto le 12 ore lavorative giornaliere prevedeva la pausa a metà giornata, oggi non siamo ancora alle 12 ore di lavoro, ma le pause non sono dopo 6 ore di lavoro ma dopo 7 e mezza! Anzi il nuovo accordo di Mirafiori prevede di lavorare fino a 10 ore, quando il marcato dovesse chiederlo. Questo movimento ha visto una grandiosa manifestazione il 16 ottobre a Roma. E anche a quella manifestazione i sindacati di base non c’erano. Ecco perché poi non hanno capito cosa stesse succedendo. Proprio quel giorno lessi un bel volantino scritto dagli stessi ragazzi che oggi sono nostri ospiti a questo dibattito[1]. In esso c’era scritto: “noi non stiamo con nessun sindacato, siamo qui solo perché siamo degli operai e siamo solidali con gli operai, e qui oggi ci sono degli operai”. Poi ci sono altri percorsi che hanno portato al 14, quello dei terremotati abruzzesi, quello dei vesuviani che si oppongono alle discariche. E’ incredibile che una parte del movimento abbia messo un veto a tutte queste realtà solo perché nella miriade di sigle ci stava anche quella della FIOM.

E’ significativa, a mio avviso, la coerenza e la radicalità di questo movimento. Nessuno degli intervistati che i media disperatamente cercavano ha detto una sola parola di condanna, nessuno ha preso le distanze né fatto passi indietro. E’ significativo, non solo perché di solito in TV avviene il contrario e per essere politicamente corretti gli ospiti devono dire per forza certe cose, ma anche perché è esattamente speculare di quanto invece è avvenuto a livello parlamentare, dove con la stessa unanimità, ma con posizioni opposte, tutti hanno condannato. Anche questo la dice lunga sulla incomunicabilità di questi due mondi.

Tutto questo avviene non per caso, ma all’interno di un contesto di rivolte europee: da due anni la Grecia è in rivolta, anche qui prima partendo solo dai giovani poi estendendosi dopo le misure dello scorso anno anche a tutti i lavoratori che nel solo 2010 hanno fatto ben 7 scioperi generali; la Francia questo autunno è stata bloccata da una protesta totale contro la riforma delle pensioni, che ha visto blocchi alle raffinerie, distributori chiusi, strade e stazioni ferroviarie bloccate, scuole e università occupate; in Inghilterra gli studenti si sono ribellati contro il provvedimento del governo che triplica le tasse universitarie, assaltando il parlamento, la sede dei conservatori, il ministero delle finanze, aggredendo il Principe Carlo in persona; uno sciopero generale molto duro c’è stato anche in Spagna e proteste si sono verificate in Irlanda…

Sinceramente io non mi stupisco di questo sommovimento europeo, anzi mi stupisco semmai che sia ancora troppo poco europeo. Mi stupisco che non ci sia sufficiente consapevolezza che c’è una chiara politica europea di tagli e risparmi che sta strozzando un intero continente, mentre le proteste sono ancora di natura nazionale e si limitano ai provvedimenti dei governi che applicano tali direttive europee. Mi stupisco di incontrare ancora persone, anche vicinissime a me, che mi dicono che bisogna distinguere la protesta contro la Gelmini dalla protesta contro il governo Berlusconi dalle proteste contro le politiche economiche europee: ma come cazzo si fa a non capire che Berlusconi e la Gelimini sono solo l’appendice di un sistema che decide a Bruxelles di tagliare istruzione e sanità per pagare i debiti contratti in borsa dalla borghesia europea? Io in tutto il mio intervento di oggi non la cito nemmeno una volta la riforma Gelmini, qui il problema è europeo e per fermarli serve una rivoluzione europea. Altro che il referendum abrogativo chiesto dal Manifesto, l’ennesima buffonata della sinistra per tentare di incanalare il movimento dentro un percorso istituzionale e legalitario.

Ma la rivolta non è nemmeno solo europea. Quello che sta accadendo in nord-africa, con le rivolte contro l’aumento del prezzo del pane e dell’olio che stanno provocando decine di morti proprio mentre noi parliamo, è un fenomeno che ci parla di disperazione e di fame: non di proteste astratte contro qualche riforma o qualche modello culturale: di fame, di olio e di pane a prezzi inaccessibili.

E’ una realtà con cui dobbiamo fare i conti. Nei prossimi mesi ed anni avremo di fronte proteste diverse alle proteste impegnate dell’Europa benestante degli ultimi anni. Avremo di fronte delle proteste meno motivate culturalmente, ma affamate. Se da un lato questo ci libererà da tanti chiacchieroni, dall’altro ci porrà di fonte al serio problema di fare un’analisi teorica di quello che accade e di fornire a noi stessi e agli altri degli strumenti per intervenire: perché quando la gente ha fame possono emergere anche risposte autoritarie, razziste e reazionarie. 

La rivolta è mondiale, ma paradossalmente i “rivoltosi” non lo sanno. E’ mondiale perché tanta e tale è la fame che per forza di cose si sta manifestando uno spirito che porta verso questa direzione: hegelianamente potremmo dire che è lo Spirito della Storia che ci porta verso questi avvenimenti, in termini più contemporanei che c’è una psicologia sociale che si manifesta in questi sommovimenti continentali. Io però non credo né allo Spirito della Storia né all’anima sociale, credo che dobbiamo cominciare a prendere coscienza ed organizzarci a livello quantomeno continentale e mediterraneo.

Il coraggio di fare proposte rivoluzionarie: dalla bancarotta all’autogestione di fabbriche e facoltà.

Di fronte alla durezza di queste proteste emerge la mancanza di proposte serie e davvero rivoluzionarie. O si chiacchiera, come in Europa, o si cerca semplicemente di sfamarsi, come il Algeria e in Tunisia dove la gente assalta i supermercati. Non emerge alcun progetto.

Si sente spesso parlare del reddito per tutti. Ma che significa questa formula? Da dove viene questo reddito? Poniamo, come vuole la cosiddetta sinistra radicale, che questo assegno mensile per tutti venga da un aumento delle tasse per chi specula in borsa. Aumento sacrosanto, ma il giorno che avremmo abolito la borsa?

Senza andare così lontano, pongo un’altra domanda: da dove vengono i soldi con cui gli speculatori investono in borsa, soldi che la sinistra e i negriani vorrebbero tassare per ridistribuire un reddito? Vengono dal sudore degli operai FIAT che Marchionne fa lavorare 10 ore al giorno. Vengono dai ragazzini indiani costretti a cucire scarpe per le multinazionali americane. Vengono dai tunisini e dagli algerini defraudati dal loro petrolio dalle compagnie europee. I padroni prima espropriano, poi ci giocano in borsa. Ammesso che serva, è davvero giusto tassare questo esproprio per dare il reddito ai cittadini italiani? O è solo un modo per diventarne complici? Reddito di cittadinanza, come lo chiamano, diverrebbe semplicemente il diritto, in quanto “ricco” studente italiano, ad avere una percentuale mensile dei soldi che vengono fatti sfruttando il terzo mondo o i nostri padri in fabbrica. Come se il denaro non venisse da qualcosa, ma esplodesse da sé come i giudizi sintetici a priori di Kant o si muovesse dal nulla come lo Spirito di Hegel. Il denaro non viene dal nulla, ma dallo sfruttamento. Infatti, una delle leggi economiche che i fautori di questa magica teoria sostengono essere morta è la cosiddetta legge del valore.   

Si possono fare proposte ben più radicali, secondo me. Innanzi tutto bisognerebbe avere come modello a cui mirare il concetto di autogestione. Dall’autogestione delle fabbriche contro padroni carnefici, all’autogestione delle università. Bisogna sfatare questo tabù, nessuno parla ormai più di esproprio: i sindacati dovrebbero cominciare a mettere nelle loro piattaforme di sciopero l’esproprio delle aziende, la loro autogestione.

Stesso discorso vale per le università: mi stupisco che nel progetto della cosiddetta “autoriforma” che una parte degli studenti sta portato avanti con assemblee itineranti, dibattiti online, convegni nelle facoltà, non sia stata avanzata la proposta di seria autogestione e di reale autonomia degli atenei. Un progetto veramente rivoluzionario, anche se influenzato da un’ottica di conquiste graduali, non può non avere come primo punto la tensione verso l’emancipazione da questo stato. Una sempre più vasta parte del movimento (anche fra coloro che ho appena citato per quanto concerne la proposta del reddito per tutti) sta facendo propria l’antica ma sempre attualissima proposta anarchica di distinguere ciò che è comune, ciò che è di tutti, da ciò che è statale. Eppure questo non l’ho trovato tradotto in proposte concrete. Sono d’accordo: né con lo stato né coi privati. Ma con chi? E per fare cosa?

Un punto graduale, ma anche per gli standard del pubblico assuefatto al politicamente corretto assolutamente rivoluzionario, potrebbe essere quello di chiedere uno statuto speciale nelle università. Ad esempio, come era in Grecia fino a pochi mesi fa (ora è stato recentemente modificato con quel pacchetto di leggi evidentemente non solo economiche fatte per superare la crisi), facendo delle università dei territori quasi extra-nazionali, dove la polizia o l’esercito non può entrare e dove ogni decisione è autonoma e libera da parte di chi l’università la vive, ci lavora o ci studia. Ad esempio, in Grecia tale statuto di indipendenza dallo stato era determinato dal fatto che è stata la rivolta delle università ad abbattere il Regime dei Colonnelli. Quindi vi era una sorta di riconoscimento istituzionale al fatto che delle università autonome e autogestite posso diventare dei luoghi di resistenza al potere politico e alle sue derive autoritarie. Ovviamente questo riconoscimento in Italia al contrario va strappato, ma non è un obbiettivo impossibile. Ad esempio, noi potremmo rivendicare un ruolo nel prossimo futuro di aver contribuito ad abbattere il regime del cavalierato.

Un altro obbiettivo, ancora più immediato e graduale, ma per certi aspetti ancora più indicibile, è quello della bancarotta. Di fronte ad una crisi analoga a quella greca, noi dobbiamo rifiutarci di finire nelle grinfie degli strozzini del FMI e dell’UE. Una volta accettati i prestiti europei si abdica ogni autonomia residua, ogni scelta economica è dettata dai tecnocrati di Bruxelles. Molto meglio la bancarotta. Chi ha speculato sui conti italiani aspettandosi un aumento dei tassi di interesse dei bot deve rimanere con un pungo di mosche!

Il problema della banca rotta è un problema non sono economico o politico, ma anche filosofico. Implica che si abbandoni la filosofia della crescita, così come ogni filosofia progressista o in generale progressiva. Anche chi teorizza la decrescita, in realtà teorizza una decrescita progressiva, lineare, “felice”. Bisogna entrare nell’ottica del crollo, del radicale rivolgimento. Anche le rivoluzioni marxiane sono rivoluzioni tutto sommato lineari, il risultato di sviluppi storici lineari. Bisogna cambiare radicalmente prospettiva. Non tutto si può salvare, non tutto si può ridistribuire. Ci sono strumenti che sono forgiati per fare del male, ai fini del potere. Tali strumenti, tali ricchezze, sono inespropiabili. Vanno semplicemente distrutti. Invece l’ottica lineare, progressiva, prevede che tutto venga salvato e che quindi, se oggi viviamo in un’era di ricchezza astratta, cognitiva, anche tale ricchezza vada ridistribuita, magari sotto forma di reddito.

Io penso invece che dobbiamo entrare nella prospettiva del crollo. Della bancarotta.

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