la Relazione di Michele Fabiani al Primo seminario itinerante
Spoleto, 22 gennaio 2011
Definizione: cosa è il “giustizialismo”?
Da qualche tempo in Italia si è verificato uno strano fenomeno, il cosiddetto “giustizialismo”, da cui discende un fenomeno ancora più strano, il cosiddetto “giustizialismo di sinistra”. Su questo tema, sempre a Spoleto, nello scorso mese di agosto, durante la “Festa operaia e libertaria”, ho avuto il piacere di intervenire ad una conferenza dal titolo emblematico: “Perché i giustizialisti di sinistra urlano per un avviso di garanzia ad un membro del governo e non dicono nulla, né chiedono le dimissioni, quando il generale dei ROS Ganzer viene condannato a 14 anni di reclusione per spaccio di stupefacenti?”.
Ovviamente qui stiamo trattando una materia in buona parte diversa, il ruolo politico della magistratura in Italia, che solo in parte riguarda il giustizialismo, ma che comunque lo tratta da un punto di vista molto più teorico, oltre l’epifenomeno Ganzer. Mi limiterò quindi a riepilogare le conclusioni teoriche a cui ero giunto in quell’occasione, che sono in un certo senso l’ossatura del discorso di questa sera:
- Il giustizialismo è l’ideologia politica e aggiungo io filosofica (malgrado i caproni ignoranti come Di Pietro, che potremmo dire hegelianamente sono una pedina ignorante dello Spirito Giustizialista) che antepone la legge a chi la scrive e a coloro per i quali è scritta, che antepone la cosiddetta “giustizia” alla politica, che quindi sul piano dello scontro sociale antepone la classe degli amministratori della giustizia e delle sue leggi alla classe dei legislatori stessi. Secondo tale ideologia, la Legge si identifica con la Giustizia: tutto ciò che è legale è giusto, tutto ciò che è illegale è ingiusto. Tale ideologia ha un carattere arcaico, come se la Legge fosse dettata dalla Divinità e non scritta dagli uomini per gli uomini (o contro gli uomini, per opprimere parte di essi). Inoltre, la radicalità di tale dottrina è tale da estendere questo principio di perfezione anche ai suoi amministratori materiali: anche loro sono infallibili.
La tesi principale del giustizialismo italiano infatti è: chi ha i precedenti penali deve essere escluso dalla vita politica. Concretamente tale motto ci esemplifica le due caratteristiche teoriche appena elencate: 1) la Legge non può essere ingiusta, quindi non ci possono essere persone che hanno violato la legge consapevolmente facendo un atto di giusta insubordinazione; 2) gli Amministratori della Legge sono infallibili, quindi non ci possono essere nemmeno persone che non hanno violato la Legge ma che per errore sono state condannate.
La mia tesi, viceversa, è che tale ideologia sia profondamente sbagliata, che ci sono dei momenti in cui è necessario violare la legge e che ci sono delle persone che vengono condannate invece per cose mai commesse. In particolare, io ritengo che la legge sia sempre scritta in condizioni materiali e storiche, che non sia dettata da Divinità e che non sia infallibile; anzi, tali condizioni materiali quasi sempre sono condizioni di sfruttamento, la legge spesso è garanzia e riconoscimento verso gli sfruttatori. Nell’esempio su cui era costruito il dibattito di questa estate, il generale Ganzer malgrado le sue gravissime colpe non è stato bersaglio dei giustizialisti di sinistra perché è una figura predominante della repressione italiana, avendo un ruolo essenziale nella distruzione dei movimenti di protesta, come ad esempio nelle vicende che mi hanno visto protagonista come vittima di una ingiusta lunga carcerazione preventiva. Ma senza entrare su un livello già così politico, come quello che presuppone sfruttati e sfruttatori nonché leggi scritte dai secondi contro i primi, su un piano strettamente logico il giustizialismo è profondamente sbagliato: non potrà mai esistere un sistema assiomatico di Leggi da cui dedurre con certezza indubitabile i teoremi accusatori. Da un lato, perché un sistema assiomatico siffatto è impossibile, lo è nella matematica (dove i teoremi di Gödel ci dimostrano l’impossibilità di un tale sistema nell’aritmetica di Peano, dimostrando che c’è sempre una formula vera ma non deducibile dagli assiomi) figuriamoci se lo è nella giustizia dove le variabili soggettive sono del tutto incontrollabili; dall’altro lato, perché il giustizialismo è ancora più “estremista” dei metodi assiomatici della logica, dato che non solo presuppone che da Leggi prime si deducano tutti i possibili teoremi, ma addirittura arriva a postulare un’assoluta idiozia che a nessun matematico sarebbe venuta in mente, ovvero che nessuno possa commettere errori e che la parola dei Giudizi, dei sacri Amministratori della Giustizia, sia sempre vera.
- Sul piano universale, il giustizialismo di sinistra nasce per rispondere alle lacune teoriche e pratiche della sinistra dopo i fallimenti dei tentativi, sia rivoluzionari che riformisti, del XX secolo. L’adesione dogmatica agli insegnamenti di Marx e degli altri Maestri Sacri non è più sufficiente a spiegare la realtà né ad attrarre consensi, viceversa nemmeno il progetto socialdemocratico ha ottenuto successi e anzi ha consegnato l’Europa al neoliberismo. Per questo la via giudiziaria alla presa del potere ha cominciato a serpeggiare nelle “intelligenze” della sinistra.
- Sul piano particolare, tale ideologia è forte soprattutto in Italia, unico paese in cui esistono veri e propri Partiti della Legge di centrosinistra, oltre che per le ragioni di sistema generale e di crollo delle ideologie del passato, anche per un fattore contingente come l’insuperabile livello di corruzione, criminalità, prostituzione e clientelismo della politica nostrana, sempre presente ma da un decennio e mezzo arrivata a livelli insuperabili sotto il regime del cavalierato.
L’inquinamento della cultura antagonista.
A partire da queste considerazioni, già emerse nel dibattito di questa estate, possiamo provare a fare dei passi in avanti e di vedere con più precisione quale sia il ruolo della magistratura nella crisi politica italiana. Per farlo però cominciamo dal suo opposto, ovvero da quale ruolo la politica italiana voleva dare alla magistratura.
Partendo da questi presupposti, le “grandi menti” della sinistra italiana cresciute nelle scuole di partito con Marx ed Hegel, hanno pensato bene di unire in una suprema sintesi l’universale e il particolare. Il ragionamento di D’Alema deve essere stato più o meno questo: ‘ieri abbiamo fatto la svolta nel diventare da comunisti a socialdemocratici trasformando il PCI in PDS così da attirare gli elettori moderati che votano PSI, ora facciamo sbranare il PSI di Craxi della magistratura, domani gli elettori socialisti e moderati voteranno per noi e prenderemo il potere’. Tutti oggi sanno che questo sillogismo non si è avverato, ma che anzi ha consegnato l’Italia a Berlusconi per 16 anni. Nessuno però ha cambiato strategia, e mentre l’inseguimento al “centro” continuava arruolando ex democristiani (ma continuando a perdere), nel frattempo l’ideologia giustizialista si è trasformata da uno strumento in mano a D’Alema che credeva di manovrarla dietro le quinte in un movimento politico vero e proprio che ha almeno due partiti, l’Italia dei Valori di Di Pietro e il Movimento a 5 stelle di Grillo che insieme fino a pochi mesi fa sfioravano il 10% alle elezioni (ora per fortuna pare siano in calo). Questo è avvenuto rubando soprattutto voti alla sinistra radicale (di cui non mi frega niente), ma soprattutto inquinando la cultura politica, non dico rivoluzionaria, ma in generale antagonista, fatta di conflitto, occupazione dei centri sociali o delle scuole, blocchi stradali e ferroviari degli operai che volevano un aumento, resistenza più o meno passiva delle popolazioni che si opponevano a progetti inquinanti, a volte scontri più o meno reali di piazza…tutte pratiche che non sono certo rivoluzionarie, ma che ora sono proibite e che chi le fa viene discriminato perché si prende dei precedenti penali.
Prendiamo un esempio di lotta straordinaria, la rivolta dei No Tav in Val di Susa. Tale rivolta va avanti ormai da decenni e non ha fatto sconti al potere: ha occupato stazioni, strade, campi, montagne, ha contestato politici sia di destra che si sinistra, ha rovinato i piani del capitalismo italiano rimandando per anni la fruttuosa distruzione di quella fetta di Alpi che avrebbe arricchito costruttori, imprenditori delle ferrovie sia pubbliche che private come quelle di Montezemolo, ha rovinato il disegno europeo dell’alta velocità. Ma non ha neanche ricevuto sconti dal potere: manganellate, botte, minacce, incendi dei presidi, attentati ai manifestanti, arresti, morti. Perché ricordiamolo ci sono stati anche dei morti. Il 5 marzo del 1998 a Torino sono stati arrestati tre anarchici, accusati di far parte di un’associazione terroristica che faceva attentati contro la Tav: Edoardo Massari, Maria Soladed Rosas e Silvano Pellissero. I primi due sono stati trovati impiccati nei luoghi in cui erano reclusi. Silvano invece, come era ovvio verrà assolto dall’accusa di terrorismo (art. 270 bis) ma condannato mi sembra a 4 anni circa per i reati specifici. Memorabili gli articoli di quel pezzo di merda di Travaglio, che scriveva per La Repubblica su posizioni schiacciate, come suo uso, dalla parte dei carnefici.
Una lotta durissima, che nel 2005-2006 (quasi 10 anni dopo gli arresti e i morti) vedrà il suo apice negli scontri di piazza, che comunque non si sono mai fermati e ancora fino a pochi mesi fa hanno ripreso ad occupare le cronache. Ebbene, in tale movimento l’inquinamento dei giustizialisti è stato evidente. Il Movimento a 5 stelle di Grillo si è infiltrato nel movimento, anche grazie all’incapacità di analisi del centrosinistra locale favorevole alla Tav e ha fatto le sue famigerate liste civiche. Ovviamente, seguendo il dogma di non candidare chi ha i precedenti penali e quindi emarginando coloro che avevano avuto un ruolo di prima linea nella resistenza ambientalista. E facendo, tra le altre cose, vincere le elezioni alla Lega Nord; elemento a mio avviso indicativo di come il giustizialismo porti in realtà a conseguenze reazionarie (dopo Craxi è venuto Berlusconi, dopo Berlusconi verrà Fini, questo avviene quando i governi non cadono con le proteste di piazza ma i complotti dei giudici).
Una cosa simile è venuta anche qui a Spoleto: al movimento ambientalista molto duro del 2007, che i giudici hanno cercato di distruggere con gli arresti del 23 ottobre, è succeduto il Movimento a 5 stelle giustizialista e con pratiche di lotta (i comunicati su internet, i comizi di Grillo) ben diversi dalle nostre (presidi, cortei, blocchi). Anche sul piano istituzionale, di cui io come anarchico sono completamente disinteressato, è comunque visibile il cambiamento: i due consiglieri comunisti di opposizione che siedevano alla sinistra della maggioranza PD sono stati sostituiti da uno dei grillini.
Il partito dei giudici: cosa è e cosa vuole.
Non ho alcuna stima per Berlusconi e da quando ho 14 anni vado in piazza contro di lui. Però su una cosa ha dannatamente ragione: esiste un partito delle procure, una lobby giudiziaria che vuole influenzare la politica italiana e che ha un ruolo centrale nella crisi in atto. Vediamo schematicamente le sue caratteristiche:
1) il partito dei giudici è sostanzialmente anti-berlusconiano, è alleato di quella borghesia italiana che prima ha mandato al potere Berlusconi per effettuare quella che con un ossimoro potremmo definire la grande “rivoluzione reazionaria” di questi 15 anni, ma che ora è stanca di lui e da qualche anno complotta per farlo fuori;
2) nonostante ciò, il partito dei giudici teme fortemente il movimento rivoluzionario, i suoi esponenti di spicco alternano la lotta a Berlusconi alla repressione verso il movimento antagonista (si pensi ad Ilda Bocassini amatissima a sinistra per i processi contro il Cavaliere, ma anche responsabile di inchieste farneticanti che hanno visto l’arresto di decine di studenti, ragazzi dei centri sociali, operai, perfino dirigenti FIOM accusati di essere dei neo-brigatisti; oppure si pensi a Manuela Comodi, esponente umbro dell’ANM in lotta contro le riforma di Berlusconi, ma anche firmataria delle inchieste contro gli anarchici umbri);
3) il partito dei giudici alterna rivendicazioni di casta, come quando sciopera contro il taglio dei loro maxi-stipendi, a obbiettivi politici più o meno dichiarati, dall’autonomia della figura del magistrato all’abbattimento di governi indesiderati;
4) la linea politica del partito dei giudici è generalmente attendista, solitamente interviene alla fine di un ciclo storico, raramente rischia uno scontro diretto in una fase non matura: ad esempio ha fatto cadere la Prima Repubblica dopo il crollo del muro di Berlino, mentre non si è azzardato a fare le stesse inchieste del 90-92 negli anni ’70 quando la politica era corrotta allo stesso modo se non peggio;
5) chi non rispetta la linea attendista viene spesso isolato, come è capitato a De Magistis, ma anche allo stesso Di Pietro che si è azzardato a mettere sotto scopa Berlusconi troppo presto, quando ancora il suo ciclo politico e la sua “rivoluzione reazionaria” doveva compiersi;
6) bisogna fare attenzione, il partito dei giudici non è la stessa cosa dell’IdV e del Moviemento a 5 stelle: questi ultimi sono dei Partiti della Legge, dei partiti giustizialisti, degli aspiranti partiti dei giudici. Ma le loro aspirazioni non sempre sono realizzate, anzi la maggior parte degli esponenti della magistratura non votano certamente IdV e meno che mai Grillo, piuttosto gravitano intorno al PD, all’UDC, alla destra giustialista di Fini;
7) più in generale il partito dei giudici non è collocabile nella sinistra, nemmeno in quella moderata o nel cosiddetto centrosinistra, la propaganda berlusconiana descrive i giudici come di sinistra, ma è fatto notorio che da sempre è dominante la componente conservatrice. Più in generale il partito dei giudici non è collocabile all’interno della dicotomia destra-sinistra, è una forza in un certo senso “sociale”, una categoria di “lavoratori” e di “amministratori” che ha però l’enorme potere di decidere della libertà o meno dei cittadini;
8) il partito dei giudici anche se apparentemente non si fa scrupoli ad attaccare i personaggi politici principali nello spettacolo istituzionale, compresi Presidente del Consiglio e Ministri, in realtà non ha mai sfiorato le trame oscure del potere reale, non ha mai arrestato i responsabili della maggior parte delle stragi di Stato, non si è dedicato con la stessa forza a pulire i Servizi Segreti da personaggi deviati, fascisti, golpisti;
9) il partito dei giudici ha dei mezzi di informazione potenti, anche se nell’Italia berlusconiana ovviamente minoritari, in ogni caso i suoi mezzi di informazione sono l’unica alternativa mediatica alla Rai e alla Mediaset: il risultato è che paradossalmente solo la destra con la sua stampa rappresenta un’alternativa al partito dei giudici e solo i giudici con la loro stampa sono un’alternativa alla propaganda di destra, chi è anti-berlusconiano raramente diventa anarchico, comunista, rivoluzionario, perché trova nella rara informazione rimasta “libera” solo “Il Fatto Quotidiano”, “Annozero”, Mentana che dirige il TG di La7, ecc.
10) la stampa del partito dei giudici, pur se minoritaria rispetto allo strapotere berlusconiano, è comunque molte fedele alla linea del “partito”: Annozero e il Fatto dedicano molto più spazio alle inchieste di mafia che a quelle contro i Servizi Segreti deviati o a personaggi come Ganzer che malgrado la condanna a 14 anni continuano a comandare il ROS.
Il paradosso di Socrate: l’inizio della contraddizione.
Nel 399 a.C. ad Atene la democrazia restaurata dopo un breve tentativo oligarchico (il cosiddetto governo dei trenta tiranni) condanna a morte Socrate, nel tentativo di sfogare il rancore e la frustrazione dopo la tremenda sconfitta nella cosiddetta guerra del Peloponneso. Come è noto, Socrate rifiutò di farsi difendere da un avvocato o di farsi scrivere un discorso da un retore di professione. Le leggi del periodo ci dicono che Socrate avrebbe potuto salvarsi ammettendo le sue colpe, pagando un’ammenda simbolica e accettando l’esilio. In ogni caso, Socrate viene condannato a bere la cicuta, quindi ad avvelenarsi, un gesto che lui compie senza timori e senza nemmeno tentare una facile fuga.
Quello di Socrate è un chiaro esempio storico di fallimento dell’ideale giustizialista: la legge non è sempre giusta, si può essere condannati anche da innocenti o si può essere colpevoli di reati del tutto assurdi come quello di “non accettare gli dei della città e corrompere i giovani” come è avvenuto a Socrate. I giudici che condannano Socrate sono dei giudici democratici, che hanno ripreso il potere dopo la tirannia: se fossero vissuti ai giorni nostri avrebbero votato PD, o forse addirittura IdV in quanto coloro che radicalmente si oppongono al potere del tiranno appena abbattuto. Sono come Ilda Bocassini e Manuela Comodi, perseguitano i comunisti e gli anarchici pur essendo nemici della tirannia. Quei giudici, però, a differenza di quelli di oggi non sono una ristretta casta, ma una fetta enorme della cittadinanza. Ricordiamo che le giurie popolari ad Atene erano composte anche da 501 persone. La condanna di Socrate è stata votata da 360 giurati, contro 140 contrari. Il popolo che vuole la morte di Socrate è lo stesso popolo che ha cacciato la tirannia, è il popolo che tira le monetine a Craxi o che grida a Berlusconi “mafioso”, ma che vuole ordine e sicurezza nelle città – per fare un improbabile parallelismo.
Socrate però fa un gesto, a mio avviso non condivisibile, che però ha il merito di avere scosso l’umanità per 24 secoli e che ancora colpisce chi lo studia per la prima volta: sceglie di morire, sceglie di oggettivare una giustizia che non è giusta. Socrate ci porta quindi dentro un paradosso, dentro la contraddizione fra l’ideale giustizialista da una parte e la sua mancata realizzazione dell’altra. Questo paradosso ci pone, nel merito della nostra discussione sulla magistratura, alcune importanti domande: Quello di Socrate è un gesto giustizialista? E’ un modo per dire ‘rispetto le istituzioni anche quando prendono scelte da me non condivisibili’? Ma se così fosse Socrate non avrebbe affatto ottenuto ciò che voleva, perché ha dimostrato che la giustizia di Stato non sempre è giusta. Ma allora quello di Socrate è un gesto che vuole confutare il giustizialismo, che lo oggettiva e nel farlo mostra la sua irrealizzabilità? Ma se così fosse, avrebbe fatto meglio a fuggire, avrebbe avuta salva la vita e non avrebbe rispettato delle regole ingiuste. Forse però fuggendo non lo avrebbe ancora confutato il giustizialismo, sarebbe infatti apparso come colui che non essendo nel giusto cerca la fuga. Ma se viceversa abbiamo detto che lo Stato non fa scelte giuste, nemmeno lo Stato democratico ateniese, perché allora Socrate avrebbe dovuto adeguarsi alle sue disposizioni?
Socrate fa un gesto che rende irrisolvibili queste domande, decide deliberatamente di incunearsi in questa contraddizione. Quello che conta è che quel gesto e quella morte ci dimostrano che la magistratura non sempre fa scelte giuste. Quindi confuta sul piano esistenziale il giustizialismo.
Errore di sistema: l’architettura assiomatica giudiziaria non sta in piedi.
Se non bastasse la confutazione esistenziale del giustizialismo fatta da Socrate, cioè avvenuta nel corpo della sua stessa esistenza fisica, se ne può proporre una più sistematica.
La giustizia moderna si fonda su un modello sostanzialmente assiomatico: ci sono degli assiomi e dei teoremi, ci sono gli articoli del codice penale e ci sono dei particolari assiomi che fungono da lemmi, che ci spiegano cioè come applicare quegli stessi articoli, con quale ordine e in qual modo, ovvero il codice di procedura penale. Tale modello assiomatico è irrealizzabile, lo ha dimostrato il logico matematico Gödel durante la prima metà dello scorso secolo: ci saranno sempre delle formule non deducibili dagli assiomi ma vere, e dei presunti teoremi dedotti correttamente dagli assiomi ma falsi.
Non vorrei diventare noioso, ma è molto importante afferrare questo punto: è il nucleo dell’intero ragionamento di questa sera. Tutti i sistemi assiomatici hanno un grande teorema, il cosiddetto teorema di correttezza e completezza: una formula è un teorema se e solo se è sempre corretta. Questo mega-teorema si divide in due sotto-teoremi: 1) teorema di correttezza - se ho un teorema, allora ho una formula corretta; 2) teorema di completezza - se una formula è corretta, allora è un teorema. Vi invito a soppesare bene le parole: questo teorema afferma che non è possibile che dagli assiomi si possano dedurre teoremi non corretti, sbagliati, ma che allo stesso tempo qualsiasi cosa vera io affermo, essa, anche se mentre la scopro non lo so, è necessariamente un teorema dimostrabile da assiomi.
Ma la giurisprudenza non aderisce a questo modello. Il fatto che le leggi si aggiornino, che è un bene per noi comuni mortali, ma è un male per il funzionamento del sistema, ci dimostra che la giurisprudenza non è un sistema assiomatico perfetto, ovvero corretto e completo: infatti dai suoi assiomi non si riesce a dedurre tutta la casistica possibile ma col passere dei tempi il legislatore deve aggiungere assiomi nuovi per affrontare situazioni mutate.
Ma se un sistema assiomatico non è corretto e completo, allora è insostenibile. Infatti se un sistema assiomatico non è corretto e completo, in altre parole se è infinito, come aveva notato già Aristotele, allora in esso si può dimostrare qualsiasi cosa. In una serie infinita di deduzioni, io non posso sapere mai se troverò un errore: ma da un errore, da una formula falsa, si può dimostrare qualsiasi cosa. Ex falso quodilibet seguitur, sempre grazie ad Aristotele. Quest’ultima affermazione è banale, è la prima cosa che si impara studiando logica. Prendiamo l’espressione “A → B”: ora se A è vera B deve essere necessariamente vera, ma attenzione se A è falsa B può essere sia vera che falsa, perché da una cosa falsa è corretto dedurre qualsiasi cosa, appunto per l’ex falso quodilibet.
Ricapitolando, la giurisprudenza non è un sistema assiomatico corretto e completo. Questo implica che è aggiornabile all’infinito. Questo però implica che sono possibili formule false, in altre parole che sono possibili degli errori. Questa cosa ovviamente non è un mio artificio retorico, ma è dimostrata empiricamente: ci sono degli innocenti che vengono condannati e dei colpevoli che vengono assolti. In altre parole, il sistema assiomatico giudiziario italiano (come quello di ogni altro paese) a volte sbaglia. Ma a nessun sistema assiomatico è consentito l’errore, infatti da una cosa falsa si può dimostrare qualsiasi cosa (ricordate A → B ? se A è falso B può essere qualsiasi cosa). Ora siccome l’amministrazione della giustizia a volte commette degli errori, in termini tecnici dimostra dagli assiomi dei teoremi errati, da quegli errori, da quei teoremi falsi, si può dimostrare qualsiasi cosa. Anche questo non è un mio artificio retorico ma è dimostrato empiricamente: infatti tutti gli avvocati sanno che nel sistema assiomatico giudiziario ci sono degli errori e che da esso si può dimostrare qualunque cosa, dove per il termine “qualunque cosa” si intende proprio tutto, ovvero che si può dimostrare che tutti gli innocenti sono colpevoli e che tutti i colpevoli sono innocenti. Questa è una cosa che tutti noi sappiamo.
Il sistema assiomatico giudiziario quindi non si tiene in piedi da un punto di vista logico. Io da anarchico potrei auspicarne il superamento, come potrei auspicare il superamento di termini idioti come “colpevole” e “innocente”. Ma non è di questo che parliamo questa sera. Questa sera parliamo di giustizialismo: anche chi non ritiene che tale sistema vada superato deve però riconoscere che tale sistema a volte sbaglia, quindi deve riconoscere (per il fatto che da un errore si può dimostrare qualsiasi cosa – ex falso quodilibet) che tecnicamente può sbagliare sempre: quindi il motto giustizialista fuori i pregiudicati dalla politica è insostenibile, poiché su un piano strettamente tecnico tutti i pregiudicati possono essere stati condannati per sbaglio e tutti i colpevoli possono essere assolti per errore. Sempre ammesso che i concetti di “colpevole” e “innocente” abbiano senso. E in una società di oppressione e sfruttamento in cui la legge è scritta dagli oppressori e sfruttatori secondo me non ce l’hanno.
Ma questa è un’altra storia. Per ora ci basti dire che tale sistema assiomatico non sta in piedi, e che quindi l’ideale che esalta tale sistema a verità universale è infondato.
Da Kant a Di Pietro.
Il fantasma del cosiddetto giustizialismo di sinistra ci perseguita almeno dai tempi di Craxi. Forse anche da prima, ma non in maniera così ossessiva. Ovviamente l’ideale della legge morale e pratica è assai antico, a mio avviso la massima espressione teorica la rappresenta la Critica della ragion pratica di Kant.
Lì Kant trova quello che, a mio avviso, non era riuscito a trovare nella teoretica: i cosiddetti giudizi sintetici a priori. Questi concetti logici sono più che assiomatici: gli assiomi sono a priori ma non sono estensivi, da un sillogismo non si può dedurre nulla di più di quello che già si trova nelle premesse, ed è per questo che il teorema fondamentale di ogni sistema assiomatico è quello che impone la completezza e la coerenza del sistema; i giudici sintetici a priori, al contrario, sono estensivi, da essi magicamente il sapere si muove e produce altro. Un concetto assolutamente super-assiomatico (nel duplice senso che è più forte e che supera quello assiomatico) che io nel mio libro Attualità o inattualità di Kant, di prossima pubblicazione, ipotizzo sia l’inizio di un movimento da sé del pensiero che si svilupperà propriamente in Hegel (in questo senso la mia tesi è di linearità e non di contrapposizione fra i due, nel libro metto anche citazioni interessanti di Hegel sui giudizi sintetici a priori di Kant che ora non posso riproporre perché ci porterebbero fuori tema, anche perché così se proprio non resistete vi comprate il libro!!!).
Il fatto che questi giudizi magici Kant li trovi non nella teoretica ma nella pratica, ovvero nella morale, è indicativo di una logica per così dire giuridico-filosofica che fonda la legge morale (e quindi, per i Di Pietro certamente inferiori a Kant, anche la legge penale) su un fondamento assolutamente certo e del tutto a priori da cui è proibito uscire.
«La geometria pura ha dei postulati come proposizioni pratiche, le quali però non contengono se non la supposizione che si possa fare qualcosa […]. Sono dunque leggi pratiche sotto una condizione problematica della volontà. Ma qui la regola dice che si deve assolutamente operare in un certo modo. La regola pratica è dunque incondizionata, e quindi rappresenta a priori come una proposizione pratica categorica, mediante la quale la volontà viene assolutamente e immediatamente […] determinata oggettivamente. Poiché qui la ragion pura pratica in sé è immediatamente legislativa. La volontà è concepita come indipendente dalle condizioni empiriche, e quindi come volontà pura, determinata mediante la semplice forma della legge».
Da queste parole, tratte dalla Critica della ragion pratica, si evince chiaramente che la legge morale è fondata su un metodo assiomatico molto più forte del metodo normalmente utilizzato per la geometria. Gli assiomi di Euclide non sono così vincolanti, ad esempio gli assiomi da cui si deduce la costruzione di un triangolo equilatero mi dicono che se punto il compasso e faccio certi segni otterrò necessariamente certi risultati. Ma l’esistenza degli assiomi geometrici non mi costringe, pistola alla tempia, a fare in ogni momento della mia vita figura geometriche: io sono libero di non prendere nessun compasso e di fare un passeggiata al Giro della Rocca. Al contrario gli assiomi della morale, fondati attraverso questa creatura magica e super-assiomatica come i giudizi sintetici a priori, ti costringono in ogni momento ad essere rispettati: io sono libero di non prendere il compasso e di non ubbidire agli assiomi di Euclide, non sono libero invece di non ubbidire all’assioma di non uccidere, per fare un esempio banale.
Questi giudizi super-assiomatici, che si muovono da sé, allo stesso tempo a priori ed estensivi, hanno l’ambizione di risolvere la contraddizione che avevamo evidenziato per il fatto che la giurisprudenza non è un sistema assiomatico completo. Questi giudizi magici, infatti, estendono gli assiomi e li fanno camminare verso leggi sempre nuove. Questo però, da un punto di vista filosofico, è ancora più criticabile e ancora più ingiusto, perché ci da un modello di giurisprudenza ancora più autoritario e totalitario.
Lasciamo in pace Kant e torniamo ai giustizialisti di casa nostra.
L’apice davvero insopportabile lo abbiamo raggiunto dal primo Vaffa-Day di Grillo in poi, nel 2007. Ricordate il primo dei tre temi della raccolta firme? Fuori i pregiudicati dal parlamento. Ricordate il comizio? Attacchi duri che colpivano allo stesso modo Dell’Utri e parlamentari di Rifondazione Comunista che venivano dai centri sociali. Nel 2008 si è incancrenito completamente nella società, con la vittoria elettorale di Berlusconi e l’espulsione della sinistra radicale dal parlamento: da quel momento in poi, le strane dinamiche che dominano la psicologia sociale hanno fatto si che, poiché negli spazzi lottizzati concessi per pochi secondi dai TG agli esponenti dell’opposizione ci vai solo se hai dei parlamentari, allora il più “duro” contro Berlusconi è parso essere Di Pietro. Questo è stato l’apogeo ideologico del giustizialismo. Durante questo triste periodo sono nati giornali come il Fatto Quotidiano, abbiamo assistito alla svolta scandalistico-giudiziaria di Repubblica (che ha smesso di fare informazione e ha cominciato a parlare di escort e tangenti), vi è stata l’infiltrazione di cui abbiamo parlato nella cultura antagonista.
Una generazione che se ne infischia della legge.
Tale periodo grazie al cielo sta finendo. E sta finendo anche a causa del ruolo della magistratura nella crisi italiana. Purtroppo o per fortuna (forse per fortuna, dato che secondo me Berlusconi va abbattuto con la rivolta sociale e non con le inchieste giudiziarie) il cosiddetto partito dei giudici non è riuscito a far cadere Berlusconi. Allo stesso tempo, Berlusconi non è riuscito a conquistare quella parte di “palazzo” in mano alla magistratura, quella fetta di istituzioni ha continuato a resistere. Entrambi i poli dello scontro, però, si sono fortemente indeboliti.
Tale debolezza reciproca, è una debolezza politica ed economica dell’intero Stato. Il ruolo della magistratura nella crisi italiana – che è il tema del dibattito di questa sera – è stato essenziale: sia nell’accezione positiva, della crisi istituzionale creata con le sue inchieste, sia nell’accezione negativa, di un potere che ha pensato a tutelare gli interessi del Capo e quindi non ha governato la crisi in atto. Questo scontro ha devastato le istituzioni italiane e continuerà a devastarle. Non è facile tornare indietro: Può il PD e la sinistra non allearsi con l’IdV? Ovviamente no, si condannerebbe alla sconfitta. Può più in generale non usare le inchieste che oggettivamente destabilizzano il premier come arma per l’opposizione? No, si condannerebbe a rinunciare al solo strumento utile per abbattere il governo. E ancora, può Fini fare marcia in dietro dopo aver rotto con il governo per inseguire il giustizialismo di destra (questo si, autentico e “naturale”)? Ormai no, si giocherebbe la faccia. E infine, può Berlusconi rinunciare alla guerra con i magistrati? Assolutamente no, verrebbe immediatamente arrestato appena perse le tutele.
La guerra per bande fra i poteri dello Stato non può essere disarmata, solo la sconfitta totale di una delle parti in causa può porne fine: ma in 15 anni ciò non è ancora avvenuto e io non credo che avverrà.
In questo scontro assistiamo finalmente alla nascita di una nuova generazione, di una generazione che se ne infischia dei dogmi giustizialisti di non avere precedenti penali, che anzi si ribella e si scontra contro lo Stato e i suoi servi più duramente delle generazioni precedenti.
Quello che è successo il 14 dicembre a Roma (con tutto ciò che lo ha preceduto) segna una svolta epocale. Questa generazione non solo non si è lasciata inquinare dal cancro del giustizialismo, ma è stata addirittura più radicale di quelle precedenti. Nel G8 di Genova c’erano i pacifisti e i black block, ad esempio, negli anni ’70 c’erano i servizi d’ordine e gli autonomi, e via scendendo. Il 14 dicembre a Roma c’è stata una folla unanime che si è ribellata contro la corruzione e la prostituzione parlamentare in atto, ma lo ha fatto senza delegare la vigilanza ai giudici anzi violando i dogmi giustizialisti di sacralità della legge e di non avere precedenti penali.
Nessuno dei partecipanti ha espresso una sola voce di condanna, inutilmente ci hanno provato le TV e i giornali. Non una parola di critica è stata espressa, non una condanna – a differenza del clima di “caccia all’anarchico” che c’era nel 2001 dopo Genova. Tutti i presenti hanno concordato su un fatto: è stata una sommossa di massa. Una sommossa che va dai Vesuviani che hanno tirato i sacchi di spazzatura alla residenza di Berlusconi ai terremotati con le macerie, dai metalmeccanici con i caschi agli studenti. Il 14 dicembre ho udito con le mie orecchi il coro di “voci bianche” di quindicenni che gridavano “ladri – ladri” contro le banche mentre i più grandi le prendevano a bastonate.
Ma il dialogo più bello l’ho ascoltato ad un’altra manifestazione, il 30 novembre, fra due quindicenni. C’erano appena stati gli scontri in via del Corso. Uno dei due, con il casco in testa, dice all’altro: “è meglio che non vieni davanti se non hai il casco, può esse’ pericoloso”. E l’altro: “manco tu fai una sveltezza a prenderti una denuncia a 15 anni”. Ma quello con il casco, fantastico, gli risponde: “E che me frega, mica me devo candida’ co’ ‘a civica a 5 stelle!”
Questi due quindicenni sono i nostri modelli culturali, non Saviano e Travaglio! E non è un caso che la stampa giustizialista non ha capito nulla: non ha capito nulla il Fatto che insiste con gli infiltrati che non c’erano, non ha capito nulla Saviano che ha inviato ad isolare i violenti – non hanno capito nulla perché il loro cervello non può immaginare che questa gente si sia scontrata con la polizia, che abbia violato la legge che per loro è sacra; non riescono a capirlo e allora devono inventarsi un corteo che non è esistito di gente rispettosa e buona, inquinato da pochi infiltrati. Invece sta emergendo una generazione che è già oltre questo spettro culturale. E’ su questa che dobbiamo investire, politicamente e culturalmente. E, lasciatemelo dire, filosoficamente. Perché se la Scuola Umbra nasce per elaborare un pensiero nuovo, ebbene qui sta la novità.
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