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lunedì 5 settembre 2011

Pensiero, materia, tempo e natura

In difesa della concezione monista

di Michele Fabiani


Innanzi tutto, un piccolo accenno ironico. Sono davvero onorato che, non essendo stato presente all'ultima parte della discussione di domenica, nel dibattito online attraverso la malling list vi siete scontrati "litigandomi" e chiedendovi "da che parte sarei stato". Questo mi fa sinceramente piacere.

Venendo alle questioni di cui discutete, cerco di dire la mia sulla natura delle cose (pensiero, materia, tempo e natura).

Bisogna stare attenti nel non cadere in nessuno dei due estremi: nè nell'indifferentismo (tutto è materia, come dire l'essere è, come dire tutte le vacche di notte sono nere) che porta al nichilismo e annienta la materia, la rende indifferenziata; nè tanto meno cadere nel dualismo, o addirittura nel molteplice ontologico, per cui tutto diventa differente, le cose sono ontologicamente diverse fra loro e non hanno un mino comun denominatore.

Per me esiste un comun denominatore delle cose: il fatto che esistono. Poiché tutte le cose hanno almeno una qualità in comune, il loro esistere, il loro essere (liberando questa parola da ogni feticcio metafisico) esse non sono ontologicamente separate. L'ontologia, dice Aristotele, è la scienza che studia l'essere in quanto essere. Liberandola da ogni feticcio metafisico, l'ontologia studia le cose che esistono. Per questo io, nella mia "teoria ontologica avanzata" (accennata su Il razionale e l'assurdo e che sto scrivendo da anni in un librone che forse fra tanto tempo riuscirò a pubblicare) parlo di "ontologia come scienza empirica".

Quindi non esistono cose ontologicamente diverse, solo l'essere e il nulla sono ontologicamente diversi, come insegna Parmenide. Ma se Parmenide non vi piace potete rivolgervi a quello che per secoli, erroneamente secondo me, è stato considerato il suo nemico. Eraclito ci insegna che "bisogna cercare ciò che è comune", mentre gli uomini stolti cercano "ciascuno un proprio modo di giudicare le cose". Mi stupisco che Moreno, così eracliteo, non prenda inspirazione dal "comunismo" (nel senso di "comune", pensate che coglione Negri che si crede di aver scoperto lui questo termine!) di Eraclito, ma cerchi le differenze, il particolare e non il logos universale.

Detto ciò, nonostante non esistano cose ontologicamente diverse, come insegna Parmenide, e nonostante la scienza deve cercare ciò che è comune, come insegna Eraclito, tutto ciò premesso, la realtà è molteplice. In questo ha ragione senza dubbio Eraclito. Quindi non ci sono differenze ontologiche fra le cose, cioè non ci sono differenze così abissali come fra l'essere e il nulla, ma comunque delle differenze ci sono eccome fra le cose, delle differenze qualitative, quantitative, formali, tutto quello che vi pare, ma non ontologiche.

Perché è così importante per me tenere il punto su questo aspetto? In passato sono stato ingiustamente accusato di fare dei sofismi quando affermo che non ci sono differenze ontologiche ma qualitative. Se l'ontologia è la scienza che studia l'essere in quanto essere, cioè le cose che esistono in quanto esistono, è evidente che le cose esistono. Poi perché esse non possono avere qualità differenti? Nulla lo impedisce. Quando mettete sullo stesso livello il concetto di qualità con quello di ontologia confondete l'essenza con il comun denominatore di una cosa. L'essere, secondo la mia ontologia, non è l'essenza delle cose, come vuole la metafisica occidentale, è semplicemente il loro comun denominatore, il loro predicato comune, il fatto di esistere. Quando Giorgio e Moreno dicono che qualità e ontologia sono la stessa cosa, e mi accusano di sofismi se affermo che le cose sono qualitativamente diverse ma non ontologicamente diverse, ebbene loro confondono il predicato con l'attributo. Il soggetto sono "le cose", il predicato è "essere" (cioè le cose esistono), l'attributo è sono gialle, sono animali, sono piante, sono comuniste, sono naziste. Certo che una pianta e un uomo sono qualitativamente diverse, ma non sono ontologicamente diverse. Sono qualitativamente diverse perché la pianta ad esempio consuma anidride carbonica e l'uomo ossigeno, ma appartengono allo stesso essere ontologico, all'insieme di tutto ciò che esiste. Dove sta il sofismo? Non confondete la vostra ignoranza nel capire gli argomenti altrui con i sofismi di un avversario. (Va detto per correttezza che alla fine Moreno ha capito meglio di chiunque altro ciò che dico, pur non condividendolo, Giorgio continua a non capire).

Dicevo: perché per me è così importante tenere il punto su questo aspetto? Per ragioni gnoseologiche, epistemologiche e infine politiche. Se l'uomo e l'animale sono ontologicamente differenti, allora dovrebbero essere così lontani (come l'essere e il nulla) da non potersi neanche vedere. I nostri sensi non sono i grado di attraversare interi regni ontologici. Ma poiché noi vediamo gli animali e poiché gli animali vedono noi, allora fra noi e gli animali ci saranno certo delle differenze quantitative (ad esempio nei muscoli o nel numero di neuroni), qualitative (il cane non ha una vista a colori come la nostra, ad esempio), ma non ontologiche.

Dicevo, la mia ontologia produce alcune conseguenze in campo gnoseologico, epistemologico e politico. 1) In campo gneoseologico abbiamo la possibilità della conoscenza della realtà, fanculo al dibattito sul noumeno kantiano. 2) In campo epistemologico abbiamo la possibilità della scienza di conoscere la natura, non esistendo differenza ontologica la scienza non ha muri sovrannaturali che le impediscono il progresso. 3) In campo politico, abbiamo uno strumento conoscitivo che non conosce limiti, discriminazioni, pregiuduzi di razza o di specie.



Tutto questo, come premessa, per farvi capire con che occhi guardo la realtà e da che punto di vista muovo le mie argomentazioni. Veniamo nel merito del vostro dibattito. Quale statuto per la materia e il pensiero? Ovviamente, secondo me, non ci possono essere differenze ontologiche fra materia e pensiero. "Stessa cosa è ciò che si pensa e ciò che è" dice Parmenide, e ha ragione. Nonostante ciò, pensiero e materia sembrano essere due cose diverse; ma d'altro canto la materia ad una certa organizzazione è in grado di pensare; ma dal lato opposto la scienze cognitive non sono ancora in grado di dimostrare come tale pensiero venga implementato da tale materia (ad esempio sa che che la fame si sviluppa in un'area del cervello, ma non sa dimostrare quali movimenti esatti danno la frase "ho voglia di un gelato" e distinguerli dagli altri).

Insomma la faccenda è complessa. Abbiamo un classico problema dialettico: come coniugare due cose appartemente diverse in un'unica natura universale?

Abbiamo inanzi tutto bisogno di una terminologia precisa e coerente. Io personalmente, su questo livello, mi trovo più "comodo" con quella di Spinoza.

Dalle definizioni che aprono l'Etica:




"III. Per sostanza intendo ciò che è in sé ed è concepito per sé: ossia ciò il cui concetto non ha bisogno del concetto di un’altra cosa dal quale debba essere formato.



IV. Per attributo intendo ciò che l’intelletto percepisce della sostanza come costituente la sua stessa essenza"






State per favore molto molto attenti a queste definizioni. Serve una mente molto allenata filosoficamente per manipolare con facilità questi concetti ontologici.

Per me la sostanza è una sola: l'essere, la natura, l'insieme di tutto ciò che esiste. Al suo interno non vi sono differenze ontologiche. Gli attributi di questa sostanza, cioè il modo con cui l'intelletto percepisce la loro essenza, sono invece molteplici. Il dibattito fra pensiero e materia è secondo me un dibattito sugli attributi. Ogni soggetto-organismo può vedere il pensiero o la materia come vuole. Ad esempio per Mauro il pensiero è dato dai neuroni, per Moreno è indipendente. In quanto attributo, la loro essenza dipende dall'intelletto soggettivo che la percepisce. Pensiero e materia sono due attributi di una stessa sostanza: la natura. "Stessa cosa è ciò che si pensa e ciò che è", ricordiamoci di Parmenide.

La natura, dal punto di vista dell'intelletto soggettivo, tal volta appare come pensiero talvolta come materia. Ma essa rimane se stessa, natura. E' evidente a tutti che quando si pensa è la materia che viene manipolata e organizzata in certo modo da dare del pensiero, ma è altrettanto evidente che se io leggo un libro di Hegel non penso ai neuroni di Hegel che si sono fisicamente mossi ad ogni parola che leggo, ma percepisco i suoi concetti. Questo avviene perchè io sono un essere soggettivo che non riesce, per limiti fisici, a percepire la natura nella sua completezza, ma lo faccio dal mio punto di vista soggettivo, talvolta soggettivamente, egoisticamente direbbe Stirner, mi conviene chiamarla in un modo talvolta in un altro. Ma essa rimane natura. Per questo nella seconda ipotesi della "Rivoluzione naturale" parlo di passaggio "dal materialismo al naturalismo". Secondo me la conseguente evoluzione del materialismo è il naturalismo. Il naturalismo è superiore al materialismo perché mentre il materialismo rimanda ad una materia passiva, meccanica, fredda, il naturalismo ci parla di una materia vitalistica, "spiritata".




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