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giovedì 3 febbraio 2011

Sul concetto di «terrorismo»

Pubblichiamo l'intervento svolto da Maurizio Fratta in occasione del primo Seminario della Scuola Umbra svoltosi sabato 22 Gennaio sul tema «Quale giustizia? Ruolo della magistratura nella crisi italiana».



di MAURIZIO FRATTA

«Poco prima di giungere a Spoleto per l’incontro di oggi, ho appreso da una fonte di informazione locale, che il Ministro degli Interni Roberto Maroni aveva disposto l’allontanamento immediato dall’Italia dei due islamici condannati in Umbria per attività terroristiche.


I fatti, a coloro che sono presenti in questa sala, sono noti.
E prendo lo spunto da essi per tracciare una riflessione ulteriore sul tema della Giustizia che oggi è al centro della nostra discussione.
“Nell’estate del 2007 viene arrestato un gruppo di immigrati islamici domiciliati in Umbria.
Nell’ordinanza di rinvio a giudizio il g.i.p. contesta ad essi il reato di “addestramento”al terrorismo,previsto appunto nell’art. 270 quinquies.


La base materiale dell’accusa consiste in sostanza nella partecipazione degli accusati a corsi di arti marziali, e nella frequentazione, tramite internet, di siti legati al mondo del Jihad.
Su questa base materiale si possono rischiare oggi in Italia dieci anni di carcere. Rendendo possibile l’accusa su queste basi, le modifiche della legislazione introdotte in Italia ed in altri paesi europei rendono ovviamente più difficile la difesa.

Il punto fondamentale sta naturalmente nella nozione di “terrorismo"
che essendo definita in modo generico e confuso (probabilmente perché
non è possibile una definizione precisa,trattandosi di un concetto mal
posto),apre le porte agli abusi”.
Ho voluto qui riportare quanto scritto dagli amici Marino Badiale e
Massimo Bontempelli che si sono riferiti al caso dell’Imam di
Pontefelcino per riferirmi anche io concretamente a quel deficit di
garanzie giuridiche che sono intervenute nel corso degli anni nel
processo penale.
Una deriva di lungo periodo,come ha evidenziato l’eccellente
ricostruzione storica dell’Avvocato Giuseppe Pelazza nella sua
articolata e puntuale relazione.
Sono stati oggi riferiti tanti episodi che nel corso degli anni,a
partire dal sommovimento del 68/69 hanno determinato quelle profonde
modifiche al codice civile e penale con le quali oggi ci troviamo a
fare i conti.
E proprio come ha voluto ricordare Pelazza le modifiche dell’art. 270
del Codice Penale si basano
sulla ambiguità della definizione del reato di associazione sovversiva
che ha dato luogo agli arbitrii che pure abbiamo di recente conosciuto.
Se insomma legalità e diritto in generale, a seguito di logiche
emergenziali che ormai sembrano invadere l’insieme della società,
diventano, anche a causa della genericità degli addebiti, mera
questione di rapporti di potere e non rapporto di forme giudiziarie,la
legalità diventa appunto,come è stato appena detto,quello che
l’emergenza consente che sia legale.
A me pare del tutto evidente,proprio a partire dalle considerazioni
svolte,che se l’habeas corpus,il diritto alla libertà personale,la
tutela del diritto alla libertà di opinione,le norme a tutela della
vita privata sono i diritti che sono stati messi in
discussione,allora sono stati posti in discussione gli stessi diritti
fondativi di quella che chiamiamo civiltà occidentale.
Questa crisi di civiltà, con la deriva che ne consegue sul piano delle
norme del diritto, potrà conoscere,
come già in effetti conosce,un ulteriore aggravamento proprio per le
modifiche che anche in Europa ,sono state di recente adottate.
Chi si porrà sul piano della contestazione dei criteri economici della
società attuale,propugnandone un superamento o un miglioramento,in una
ipotesi socialista o decrescista,potrà determinare una
destabilizzazione che è giudicata un atto delittuoso di tipo
terroristico. (vedi Decisione-quadro ministri interni e giustizia
Europa 6 dicembre 2001).
Rispetto a questa deriva vale la pena ribadire il nostro interesse a
riaffermare il valore di universalità di questi principii messi prima
in discussione e poi sempre più negati nei fatti.E nostro interesse
e' mettere al centro delle battaglie politiche la denuncia costante
della loro violazione la cui difesa è argine alla barbarie.
Sugli aspetti e le considerazioni delle categorie filosofiche alle
quali ha accennato Michele Fabiani nel suo intervento riporto un brano
tratto da "Masse e Potere"di Elias Canetti. che getta luce sulla
oggettiva tendenza che porta gli uomini,nella costante presunzione di
colpevolezza,a giudicare e sentenziare.

" partire da un fenomeno che tutti conoscono: il piacere di
condannare. [...] Il piacere di esprimere una sentenza negativa è
sempre inconfondibile. È un piacere duro e crudele, che non si lascia
sviare da nulla. La sentenza è solo una sentenza quando viene
pronunciata con una sorta di temibile sicurezza. Essa ignora
indulgenza e precauzione. È presto trovata; ed è perfettamente
coerente con la sua natura proprio quando scaturisce senza
ponderazione. La passione che essa tradisce si collega alla sua
rapidità. Le sentenze incondizionate e rapide fanno sì che il piacere
si dipinga sul volto del sentenziante. [...] Ci si arroga in tal modo
il potere di giudice. Ma solo apparentemente il giudice sta nel mezzo,
sul confine che separa il bene dal male. In ogni caso, infatti, egli
si annovera tra i buoni. La legittimazione del suo ufficio si fonda
soprattutto sul fatto che egli appartiene inalterabilmente al regno
del bene, come se vi fosse nato. Egli sentenzia in continuazione. La
sua sentenza è vincolante. Ci sono soggetti ben determinati sui quali
è chiamato a giudicare; la sua vasta conoscenza del bene e del male
deriva da una lunga esperienza. Ma anche coloro che non sono giudici,
che nessuno ha incaricato di giudicare, che nessuna persona di buon
senso incaricherebbe di giudicare, si arrogano continuamente il
diritto di pronunciar sentenze su ogni argomento, senza alcuna
cognizione di causa. Quelli che si astengono dal sentenziare poiché se
ne vergognerebbero, si possono contare sulle dita. La malattia del
condannare è una delle più diffuse tra gli uomini: in pratica, tutti
ne sono colpiti».

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